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Le Sei Lettere di Colombano

La data della Pasqua ha affannato Colombano, intento a rivendicare il diritto di celebrarla, quand'anche ricorresse in contemporanea con la celebrazione ebraica, secondo il computo della tradizione irlandese, e sia pure in contrasto con la tradizione della Chiesa di Roma e delle Chiese della Gallia.
Ne tratta a più riprese: in «tono fermo, ma rispettoso» nella I lettera a Gregorio Magno, nella II, inviata al sinodo dei vescovi della Gallia, ancora nella III mandata a un altro papa, il cui nome non gli è ancora noto, e nella IV, ai fratelli rimasti nel monastero di Luxeuil.

I rapporti con il vescovo di Roma non si limitano alla questione della data di Pasqua. A san Colombano sta a cuore il giudizio del papa sull'ordinazione di vescovi, sul comportamento diaconale, e sui monaci che lasciano il monastero per la vita eremitica.

Nella V lettera il grande argomento è l'ortodossia: Colombano, che scrive da Milano, è vivamente preoccupato per la dottrina dei Tre Capitoli, giudicata nestoriana e quindi non conforme ai dogmi da lui ben conosciuti dei concili di Efeso e di Calcedonia, e che trova diffusa nel Nord d'Italia. Spinto dallo «zelo della fede», scrive a papa Bonifacio V, con libera schiettezza, e persino con durezza, forte del fatto che può affermare di essere con la sua Chiesa detentore della «fede cattolica», quella stessa, d'altronde, che la «Romana ecclesia» è deputata a difendere ».

Le lettere IV e VI sono inviate l'una ai monaci lasciati a Luxeuil - «ai suoi figli dolcissimi e discepoli carissimi, ai fratelli dalla vita austera e insieme a tutti i suoi monaci» . È un «Colombano tutto diverso» quello che incontriamo nella IV lettera. Dall'uomo di fuoco di un tempo, egli è diventato un padre che non si stanca di esortare e di istruire i suoi figli con bontà e affetto». Egli ricorda con profonda tristezza la sua missione - «visitare le popolazioni» e «predicare loro il Vangelo» -, ostacolata dalla loro indifferenza.

L'ultima lettera, la VI, consiste in una serie di esortazioni semplici e lucide sul comportamento che dovrà tenere il «figlio da educare», che gli ha chiesto nuovamente di essere istruito. Diversi e chiari sono i consigli al «diletto figlio e caro discepolo», al quale vuole procurare, «attraverso la gioia delle lettere ricevute», la forza per «vincere le amarezze provocate dal combattimento interiore».
Si comprende perché si parla di questa lettera come di una delle più belle e commosse pagine di tutta la letteratura latina del Medio Evo.

 


 Lettera VI, di San Colombano a un suo discepolo

  Le lettere di San Colombano, di Inos Biffi

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